Il futuro di CVA

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06.08.2021

Immagine della centrale idroelettrica di “Champagne 1” visibile sul sito internet di CVA

Martedì primo giugno si è svolto un evento per ricordare e festeggiare i 20 anni della società CVA, una delle aziende più importanti della nostra Regione sia in termini di dimensione e di fatturato, sia in termini di ricadute sulla nostra società essendo uno dei principali player nazionali di produzione e vendita di energia rinnovabile, principalmente di energia idroelettrica.

Il dibattito intorno al futuro di questa società sta diventando di stretta attualità perché attiene sia a problematiche relative alle società a partecipazione pubblica (la c.d. Legge Madia) poiché CVA è partecipata al 100% dalla Regione (o meglio dalla finanziaria regionale), sia in tema di concessioni di grandi derivazione d’acqua per uso idroelettrico (che in Italia è fissata in 3 MW).

Il tema diventa quindi centrale nel dibattito politico perché nella formazione dell’attuale governo regionale il tema CVA e concessioni idroelettriche è uno di quei temi che più ha diviso gli autonomisti dai progressisti, con posizioni spesso distanti sulle quali sarà opportuno ragionare fin da subito al fine di evitare il ripetersi di situazioni come quelle che si sono verificate con il tema “ospedale“.

Nella scorsa legislatura il dibattito si è sovente concentrato sulla necessità di “privatizzare” o meno questa società. Anzi il tema principale era se procedere o meno alla quotazione in borsa di una parte (si parlava del 25-30% del capitale sociale di CVA), al fine di consentire alla società di operare compiutamente in un mercato così competitivo come quello elettrico e di servizi ad alto valore aggiunto. Tale soluzione, prevista dalla normativa nazionale, avrebbe consentito a CVA di “uscire” dai rigidi vincoli per le società a partecipazione pubblica consentendole di crescere sia in termini di produzione idroelettrica anche fuori dalla Valle d’Aosta, sia in termini di servizi aggiuntivi come l’efficientamento energetico, la mobilità elettrica, ecc…, oggi non consentito dalla normativa nazionale.

Accanto al tema della proprietà pubblica della società e quindi dell’applicabilità dei limiti e dei vincoli della c.d. Legge Madia il secondo problema, forse più importante e centrale, è quello relativo alle concessioni idroelettriche e alla scadenza delle stesse attualmente fissata al mese di aprile del 2029. La normativa statale, a partire dalle “liberalizzazioni” avvenute alla fine degli anni ’90 con Bersani fino a quelle più recenti impongono una gara ad evidenza pubblica per la ri-assegnazione delle concessioni alla loro scadenza. Sul tema infatti l’Italia ha subito diverse procedure di infrazione da parte della Commissione europea per il mancato rispetto, da parte del nostro Paese, delle normative europee.

Va subito evidenziato come, in realtà, per una volta l’Italia non sia l’unica: oltre a noi anche molti Paesi europei sono stati contestati dalla Commissione europea per violazione della normativa eurocomunitaria. Austria, Germania e Svezia hanno ricevuto una contestazione per aver concesso nuove autorizzazioni per la costruzione e la gestione di impianti idroelettrici senza far ricorso a procedure di selezione trasparenti e imparziali, Francia e Portogallo, per aver autorizzato il rinnovo o la proroga di alcune concessioni idroelettriche senza il ricorso a gare d’appalto.

Ad oggi il tema ha una sua importanza attesa la volontà delle forze di maggioranza di elaborare una norma di attuazione dello Statuto Speciale, ai sensi dell’articolo 48 bis, al fine di “armonizzare la legislazione nazionale con l’ordinamento della regione Valle d’Aosta, tenendo conto delle particolari condizioni di autonomia attribuita alla Regione“. L’obiettivo dovrebbe essere duplice: consentire a CVA di uscire dall’applicazione della Legge Madia sulle società partecipate e risolvere anche il tema delle concessioni idroelettriche.

Il quadro – come sommariamente riportato – ha subito due ulteriori evoluzioni rispetto alle conclusioni della Commissione speciale che nella passata consiliatura ha studiato approfonditamente il tema e le cui conclusione si possano leggere a questo link.

La prima novità riguarda il DL “semplificazioni” (D.L. 135/2018, convertito il Legge 12/2019) che modifica la disciplina dell’assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua per uso idroelettrico (quelle afferenti a impianti idroelettrici aventi una potenza nominale media pari ad almeno 3 MW). In sostanza è lo stesso Stato che trasferisce alle Regioni la competenza nel disciplinare le concessioni idroelettriche stabilendo alcuni principi cardine a cui le regioni devono attenersi, tra le quali le modalità di assegnazione delle concessioni:

a) ad operatori economici individuati attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;
b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato viene scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;
c) mediante forme di partenariato pubblico-privato.

La legge fissa poi tutta una serie di paletti che le Regioni devono osservare nell’adozione della propria disciplina. Rispetto al dibattito emerso nella passata consiliatura dunque la norma di attuazione non dovrebbe più intervenire sulle competenze (già attribuite alle Regioni) ma semmai sull’ampiezza dei poteri della nostra Regione Autonoma in materia di concessioni.

In chiaro: può la Regione individuare altre forme di assegnazione delle concessioni rispetto a quelle già individuate dal legislatore nazionale e che – in ogni caso – prevedono una gara pubblica?

La seconda novità attiene all’approvazione e alla sua trasmissione alla Commissione Europea da parte del Governo del PNRR. Tra le riforme che infatti l’Italia si è impegnata a fare al fine di ottenere i soldi del “Recovery Fund” vi sono una serie di interventi per favorire la concorrenza e rimuovere le barriere all’ingresso di alcuni mercati strategici. A pagina 76 del PNRR si legge infatti: “Al fine di favorire la rimozione di molte barriere all’entrata dei mercati, si renderà necessario adottare una serie di norme dirette a modificare in senso pro-concorrenziale alcuni regimi concessori, nonché a superare alcuni ostacoli regolatori al libero svolgimento di attività economiche, con particolare riferimento ai seguenti ambiti: in materia di concessioni di grande derivazione idroelettrica, occorre modificare la relativa disciplina al fine di favorire, secondo criteri omogenei, l’assegnazione trasparente e competitiva delle concessioni medesime, anche eliminando o riducendo le previsioni di proroga o di rinnovo automatico, soprattutto nella prospettiva di stimolare nuovi investimenti (legge annuale 2021 ovvero altro provvedimento da adottare entro il 2022).”

Alla luce di queste novità credo che la necessità di verificare preliminarmente la possibilità di intervenire, da parte della Regione, con una norma di attuazione che consenta a CVA di uscire dall’applicazione della Madia e, allo stesso modo, di intervenire sulle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche al fine di by-passare i principi comunitari di concorrenza, trasparenza, non discriminazione che consentano in qualche modo di ri-assegnare senza gara le concessioni alla loro scadenza al gestore uscente (cioè a CVA stessa), sia quanto mai urgente e non più rinviabile.

Se la Regione può normare le modalità di attribuzione delle concessioni idroelettriche senza una gara ad evidenza pubblica si apre uno scenario, se non può farlo evidentemente se ne apre un altro.

Va peraltro ricordato che pure il Trentino Alto Adige ha approvato una propria legge in materia grazie alle competenze che gli derivano dallo Statuto Speciale (Legge Provinciale n. 9 del 2020) che è stata impugnata dal Governo perché ritenuta incostituzionale. Sarà interessante leggere le motivazioni della sentenza quando sarà deciso il ricorso.

Ma cosa ancora più importante: nel tempo in cui si chiariscono i limiti di intervento di una norma di attuazione la Politica dovrebbe invece interrogarsi sul futuro di CVA e, più in generale delle concessioni idroelettriche, grandi medie o piccole che siano. Perché se l’obiettivo è quello di continuare a far crescere una società che ha acquisito importanti conoscenze e competenze nel mercato elettrico e dei servizi ad alto valore aggiunto allora è corretto che si prosegua su questa strada eliminando i lacci e laccioli che impediscono a CVA di competere ad armi pari sul mercato.

Se invece CVA deve diventare qualcosa d’altro è bene che ci si chiarisca su cosa deve diventare. Il vestito giuridico (società pubblica o privata) non può che essere la conseguenza di questa scelta politica, non il contrario.

E soprattutto, oltre alle concessioni per grandi derivazioni d’acqua che interessano CVA e la Regione ci sono invece molte concessioni medio piccole (sotto i 3MW di potenza) che invece interessano tantissimi comuni che hanno investito soldi sulle centraline e queste, oggi, forniscono importanti utili che vanno a dare sollievo ai bilanci sempre più limitati degli enti locali.

Qui una norma di attuazione che tuteli queste situazioni credo che sia assolutamente necessaria. Il dibattito dovrebbe altresì riguardare il canone di concessione: andrà versato alla Regione, oppure ai Comuni? Ad esempio la legge del Friuli-Venezia Giulia, in particolare, destina il 100% dei canoni concessori introitati ai comuni e alle comunità di montagna interessati dalle derivazioni d’acqua ad uso idroelettrico.

Il tema merita, appunto, un ampio dibattito, senza posizioni preconcette o ideologiche avendo quale unico obiettivo l’interesse del popolo valdostano, la tutela dell’acqua e dell’ambiente quali beni pubblici, e la necessità di orientare la nostra Regione verso gli obiettivi di “carbon free” e “fossil free“.

Dialoghi europei

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